Incontro con Cristina Cattaneo

di Giorgio Sturlese Tosi

 Un incontro con una personalità davvero straordinaria ha reso ancora più prezioso il

tradizionale incontro di fine anno e di brindisi di auguri dei soci volontari della nostra

Associazione. “Restituire la storia. Dare identità ai corpi dei migranti, testimoni della

violenza e della disperazione del nostro tempo”. Con questo titolo è stata introdotta dalla

nostra presidente Graziella Aquino, Cristina Cattaneo. Ordinaria di Medicina legale

all’Università di Milano, studiosa di fama internazionale, responsabile del Labanof, il

Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano, consulente di varie procure

per i casi di cronaca più difficili, la professoressa Cattaneo ha accettato con entusiasmo

l’invito della Presidente di raccontare la sua esperienza nel mettere la scienza al servizio

dell’emergenza umanitaria. Un servizio idealmente vicino a quello di tutti i nostri soci che,

nel loro operare, si fanno prossimi a chi vive in difficoltà, nello sforzo di costruire

opportunità e diritti, tra cui quello del riconoscimento della propria dignità e

unicità. Uscendo dalla gabbia di una narrazione focalizzata sulla sola emergenza

numerica per affermarne un’altra che, ai numeri, sostituisca il volto e la storia di ogni

uomo, donna, bambino che attraversa il mare in cerca di un futuro che crede migliore.

All’entusiasmo e alla tenacia di Cristina Cattaneo si deve quello che, ancora oggi, è l’unico

progetto in Europa che si propone di restituire dignità alle vittime dei naufragi nel

Mediterraneo. Come? Identificando i cadaveri, pur nelle condizioni terribili in cui spesso

vengono recuperati, per restituire loro un nome, una identità e, quindi, la dignità. Un

lavoro, quello condotto con spirito pioneristico dalla scienziata e dai suoi collaboratori,

raccontato nel toccante volume “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del

Mediterraneo” (Raffaello Cortina Editore). Cristina Cattaneo ha ripercorso con i volontari

dell’Associazione la nascita e le varie fasi di quello che ancora oggi, pur tra mille difficoltà,

è l’unico sforzo organico messo in campo per rendere giustizia non solo alle decine di

migliaia di vittime dei naufragi e per esaudire l’essenziale bisogno di verità e di, pur

dolorosa, elaborazione del lutto dei loro familiari e dei loro cari. Ma anche uno strumento

essenziale per consentire ai minori orfani superstiti un ricongiungimento familiare con i

parenti, senza il quale sarebbero abbandonati al loro destino. Un progetto, ha raccontato

la professoressa Cattaneo, che ha mosso i primi passi dopo il tragico naufragio del 3

ottobre 2013 a largo di Lampedusa, quando furono recuperati 366 cadaveri. Da quella

strage nacque l’operazione “Mare nostrum”. E l’idea di “dare un nome alle vittime del

Mediterraneo”. Il medico legale ha raccontato, con partecipata emozione, quella sfida da

molti, allora, definita impossibile. Non solo per le difficoltà tecniche e finanziarie, ma anche

per le apparentemente invincibili resistente della burocrazia e dell’intricato diritto

internazionale. Una sfida, però, vinta grazie allo spirito di sacrificio e all’impegno di

persone e istituzioni che hanno compreso, nell’indifferenza generale, l’importanza del

progetto: dal Commissario del Governo per le persone scomparse, ad alcune università

italiane (prima fra tutte quella di Milano), alla Croce rossa internazionale, ad alcune

procure della Repubblica, ai Vigili del fuoco, alla Marina militare, alle forze dell’ordine, alle

associazioni di volontariato e alla generosità di (pochi) meritevoli finanziatori. Oggi quel

progetto è di esempio a livello globale, potrebbe essere esportato in altri Paesi e ha

bisogno di essere implementato. Un compito difficile ma possibile – come è stato

dimostrato – che deve ora essere portato avanti dalla politica, nazionale ed europea. Nel

corso dell’incontro con i volontari la professoressa Cattaneo ha ricordato alcuni episodi

emblematici di questa permanente tragedia umanitaria. Dall’incontro toccante con i parenti

delle vittime, giunti a Roma da tutta Europa, alcuni con una ciocca di capelli di familiari

ancora in Africa per consentire una comparazione genetica, con la speranza di trovare, tra

le foto e i dati raccolti dallo staff della professoressa, il proprio figlio, la moglie o il marito.

Alla scoperta di una pagella scolastica, cucita all’interno di un giubbotto indossato da una

giovane vittima del naufragio del “Barcone” dell’aprile 2015. Un pezzo di carta sgualcito,

bagnato e deteriorato, che è assurto a simbolo delle speranze e dello spirito di chi si mette


in viaggio, desideroso di presentarsi al “nuovo mondo” con quanto di meglio possiede, per

offrire le proprie capacità nel desiderio di entrare a far parte di una comunità dove

costruire una nuova vita. Impossibile, per i tanti soci volontari presenti all’incontro, non

collegare quella pagella allo sforzo degli studenti della nostra scuola di Italiano,

frequentata con impegno e tanto sacrificio dagli studenti, spesso minori non

accompagnati. Quella del “Barcone”, con centinaia di corpi ammassati nella stiva

recuperati dopo un anno di permanenza in mare, per la professoressa Cattaneo, che

personalmente li ha recuperati ricomponendoli con umanità, “è la rappresentazione

plastica della tragedia a cui continuiamo ad assistere. Di quello da cui fuggono i migranti”.

“Un omicidio colposo – ha aggiunto la professoressa Cattaneo – di cui l’Europa è

responsabile”.

Giorgio Sturlese Tosi

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